Osservare e Agire

D) Da giovane incappai per caso in una frase di uno scrittore latinoamericano: “ci sono tanti che annunciano le rivoluzioni, ma poi nessuno vuole metterci un dito. E’ chi invece si sporca le mani con i fratelli che salverà il mondo”. Dopo decenni penso spesso a questa frase pensando alla cura oggi: tutti ne parlano, ma spesso senza mai averci messo mano. Tutti pensano di saperlo fare perché da sempre “basta la buona volontà”, tranne poi assistere a fallimenti lavorativi. Di conseguenza ci troviamo sovente di fronte ad operatori che, ora qualificati, esprimono invece un grande bisogno di preservare quello che hanno di più caro: la motivazione. Questa va sì selezionata, ma va anche curata, sostenuta, valorizzata. Sulla formazione degli operatori sociosanitari ci vogliono docenti preparati, dove per preparazione si intende la conoscenza del settore e l’esperienza diretta, oltre che la teoria. E’ il caso di questo libro. La collega Giacomozzi, con questo suo lavoro, intercetta questi bisogni formativi e mette in gioco se stessa nell’interazione col lettore. L’osservazione e l’azione sono i due passaggi per un buon aiuto, a qualsiasi livello. Sbaglio?

R) Da quando ho iniziato l’attività di formatore mi sono resa conto di quanto sia importante il trasferimento delle conoscenze, ma soprattutto delle competenze. Questo libro è un estratto di tutta la mia conoscenza e competenza integrate fra loro ed acquisite in trent’anni di lavoro sociale. Mettendo l’impegno al massimo a renderlo accessibile a tutti. Nell’esposizione del testo ho tenuto in modo particolare a far porre all’attenzione del lettore l’osservazione e l’azione. Questi due termini, in quanto fondamenti del metodo e della tecnica di coloro che svolgono la professione di “cura”, in particolare gli Operatori Socio Sanitari, in realtà dovrebbero essere adottati anche da altre figure volte all’aiuto della persona in situazioni di malattia e fragilità. L’Osservazione rappresenta il punto focale dell’individuazione del bisogno della persona da assistere. Quando s’insegna ad individuare i bisogni della persona è necessario improntare una modalità teorico -pratica, altrimenti colui che deve imparare si chiederà sempre “in quale modo individuare i bisogni della persona”. Dunque, è fondamentale insegnare ad Osservare. Questo è possibile soltanto quando chi deve insegnare tale metodologia, sia innanzitutto consapevole delle sue esperienze e conoscenze in questo settore così delicato, e faccia un bilancio di esse, mettendo al centro la responsabilità.

D) Nel mio lavoro quotidiano vedo spesso personale che non osserva per poi non dover agire, o – detta all’italiana – “fa finta di non vedere”. Quanto è facile dare due gocce di sonnifero ad un anziano perché non dia fastidio? Quante volte è più facile mettere un pannolone che accompagnare il nonno in bagno? Quante volte non si ascolta chi soffre perché, in verità, non ci interessa altro se non lo stipendio? C’è modo e modo di operare l’aiuto, l’organizzazione può (e deve) controllare, ma ha senso partire dalla coscienza di chi sceglie questo lavoro. Dalla coscienza alla motivazione il passo è breve: ma nelle selezioni si verifica se un operatore è motivato o basta l’attestato e “che sappia fare”? E se c’è motivazione, perché questa non viene curata durante il lavoro? Il libro pare affrontare questo aspetto centrale, trasportandolo ben oltre la formazione di base, proprio nel quotidiano in cui la nostra bussola dev’essere invece ben orientata per evitare di far male a noi stessi, oltre che agli assistiti. Sto esagerando?

R) Il libro inizia con la “Motivazione” perché rivolto principalmente a chi deve assistere. La motivazione è quel che dovrebbe essere considerata in primis alla base della scelta della professione di cura. A chi deve lavorare a contatto con persone aventi bisogno di sostegno nel fisico e nella mente. I bisogni di chi è fragile o ammalato non sono sempre visibili ad occhi nudo; dunque non basta soltanto essere disponibili “all’aiuto” (come i volontari), ma, essere motivati a curare professionalmente! La motivazione spinge ad effettuare l’assistenza in condizioni complesse, e ciò riguarda spesso i contesti socio-assistenziali e sanitari. Quando la motivazione non c’è, o nasce dal solo fatto che si debba lavorare per mantenersi, curare diventa un’azione ripetitiva che perde il suo valore etico. Il finale triste del far del male a se stessi oltre che agli assistiti. L’Operatore che non osserva e non agisce, fa finta di non vedere e lavora male. Un esempio su tutti: se la demenza evolve da un livello lieve ad un livello medio e poi al grave, è sbagliato giustificarsi con l’aggravamento della malattia per disinvestire sulla relazione, optando per azioni di semplice contenimento. L’operatore sociosanitario non è un badante, ma un professionista che sta in relazione con la persona assistita, e per fare questo deve curare la propria motivazione.

D) Se nella realtà l’operatore sociosanitario pare “nascondersi” nell’organizzazione, per cui risulta più facile “eseguire gli ordini” per non prendersi responsabilità, ciò non è per nulla vero. Quando interviene la polizia nella strutture residenziali o a domicilio dell’anziano per maltrattamenti, l’operatore sociosanitario è chiamato in prima persona a rispondere. E’ regolare quella contenzione a letto? Se è stato notato un abuso in famiglia, perché non è stato segnalato? Se quel malato chiede aiuto, perché non gli si risponde? Esiste quindi una responsabilità penale, oltre che etica, in capo all’operatore sociosanitario, e questo libro ha il coraggio di metterlo in evidenza chiaramente. E’ sempre importante saper condividere con le altre professioni le responsabilità di cura, ma l’equipe non è una modalità per deresponsabilizzarsi: se si osserva una criticità l’azione conseguente è farla emergere e portarla a soluzione. Ma questo non è uno “stile personale”, è un “obbligo etico”, in certi casi un obbligo penalmente rilevante!

R) Quando intervengono i NAS ( Nucleo Anti Sofisticazione) l’Autorità competente in materia di controlli nelle strutture Socio Assistenziali o altri luoghi dove l’ egidia ad. es. è della ASL (canili, industrie alimentari etc.). Si occupano sostanzialmente di controllare che le condizioni sanitarie siano regolamentari ed ovviamente se non lo sono il risultato del controllo è la chiusura immediata. Altro è , quando invece su segnalazione del cittadino o di un parente, o operatore che lavora all’interno della Struttura, si muovono i Carabinieri o la Finanza ( in alcune città) perché viene messo in luce un maltrattamento. Quando avviene, gli Operatori Socio Sanitari o anche quelli non qualificati, devono certamente dare spiegazioni, e possono incorrere in sanzioni penali rispetto la tipologia del maltrattamento. Come Lei, ha anticipato non solo gli OSS devono spiegare i motivi dell’azione, ma tutta la equipe che ruota intorno ai pazienti. I maltrattamenti visibili come la contenzione, o l’incuria, recano danni irreparabili alle persone ad essa sottoposte, dunque, nelle responsabilità rientrano anche i Medici ed i Titolari delle Strutture che di fatto sono i Legali rappresentanti di tutta l’Organizzazione. L’Operatore Socio Sanitario “Se non vuole vedere e nemmeno agire” per non compromettere il proprio lavoro deve sapere che non è un comportamento salvifico ma esattamente l’opposto. E credo opportuno concludere che in quel caso, la soluzione migliore è di riflettere sul proprio operato sperando che questa riflessione lo aiuti a prendere le decisioni giuste.

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